Intervento di Luca Cirese
Non basta allo studiare solo una vita
Ho deciso di prendere parola oggi per ricordare insieme a tutti voi mio nonno, Alberto Mario Cirese, nel luogo in cui lui avrebbe voluto esserlo, l'università. Rievoco dunque il mio rapporto intellettuale e affettivo con lui e le cose che mi ha insegnato. Non sarò troppo lungo perché come mi ha insegnato mio nonno “non bisogna dire in cento parole quello si può dire in dieci”.
Nonno è stato per me un maestro nel pensiero, con lui sono “andato” – come diceva - “a scuola dal logico” invece che a “scuola dallo stregone”: mi ha insegnato il rigore del pensiero che si mostra nella logica e nei ragionamenti corretti, contro i facili rifiuti dovuti a ignoranza e ideologia, che nonno ha sempre osteggiato. L'altro grande insegnamento è stato la materia a cui ha dedicato la sua intera vita di studio, l'antropologia; nel suo ultimo libro - Altri sé. Per una antropologia delle invarianze (Sellerio, 2010) - è ripubblicata una meravigliosa intervista – forse la prima cosa sua che lessi – intitolata “Antropologia delle differenze, antropologia delle invarianze” (1995) nella quale spiega la sua analisi comparata delle culture: per farlo usa la bellissima immagine – amata anche da mia sorella - dei frammenti di uno specchio che riflettono allo stesso modo dello specchio originario e quella della torre di Babele, che separò le lingue, e della Pentecoste, che le riunì negli apostoli. Lo sforzo scientifico di mostrare la continuità fra le culture grazie alle categorie dell'«elementarmente umano» e dell'«alto pensare» – “Contro il pensiero 'altro'” è il titolo dell'ultimo corso tenuto a Roma nell'AA 1991-2, a mostrare l'importanza che il tema rivestiva per lui – è sicuramente uno dei lasciti culturali di mio nonno alla antropologia, alla cultura italiana e a me, anche dal punto di vista umano. La stessa consapevolezza della serietà e dello spirito di servizio della ricerca scientifica mi deriva da lui, forse mediata dalla lettura dei ricordi dei suoi allievi per i suoi ottant'anni in Insegnamenti (CISU 2002); al riguardo basta leggere una delle epigrafi del sito – www.amcirese.it – che ha curato nell'ultimo periodo della sua vita, che recita:
«Del resto a me, come uomo serio, va resa questa giustizia, che io parlo soltanto di cose che realmente conosco ed uso soltanto parole cui annetto un senso ben determinato; poiché solo un tal senso si può con sicurezza comunicare ad altri» (Arthur Schopenauer). L'importanza della comunicazione – altro grande insegnamento - ritorna nella sua importante distinzione fra segnicità e fabrilità; questa distinzione poggia sulla differenza del possesso da parte di tutti e di ciascuno: a differenza di un prodotto della fabrilità – uno strumento materiale – il cui possesso da parte di ciascuno ne impedisce il possesso da parte di tutti, un prodotto della segnicità – un sapere - è contemporaneamente di tutti e di ciascuno, è cioè comunicabile senza che si perduto da parte del suo possessore.
Nonno si inserisce dunque nella schiera di maestri – ascoltati o letti – che hanno fatto di me la persona e lo studente che sono ora.
Un suo allievo a cui sono molto legato, Eugenio Testa, ha scritto in Insegnamenti che nonno è un libro, riferendosi alla sua lettura di Cultura egemonica e culture subalterne (Palumbo, 1973) per il primo esame universitario. Ineccepibile se si pensa alla precisione e alla sistematicità di ogni suo discorso; aggiungo soltanto che nonno ora sarà solo i suoi libri - cioè «non morirà del tutto», come scriveva Orazio (Odi, III 30) - perché sarà ricordato grazie a essi, che sono già letti e apprezzati e lo saranno sempre. Non so se nonno fosse credente o meno, ma sicuramente ha raggiunto questa forma di immortalità: quella che personalmente auguro a chiunque provi la stessa passione nel pensiero e nella ricerca.
Studiando filosofia nella stessa facoltà dove mio nonno ha a lungo insegnato, ho conosciuto alcuni suoi ex-colleghi che mi hanno sempre trasmesso la profonda stima che avevano per lui come studioso e l'affetto e che mi ha sempre riempito di orgoglio; uno di loro disse più o meno che «chi non lo stima come studioso, è un cretino»; sono riuscito, anche se in breve tempo, a sviluppare una amicizia con questo professore, e spero in questo modo di dare una continuità a un rapporto affettivo e di studio.
Nonno ha concluso la sua vita come l'ha vissuta, cioè pensando e studiando. Il suo ultimo lavoro è stato la cura del suo sito in cui, nonostante la cecità ma grazie all'aiuto di giovani studiosi di antropologia, ha scannerizzato la maggior parte dei suoi testi, affinché la loro consultazione fosse la più amplia possibile; l'epigrafe di questo sito è «non basta allo studiare solo una vita», una frase che è “tutto un programma” e ne rappresenta tanto la vita e quanto il lascito.
Nonno ti vorrò sempre bene e mi mancherai: terrò sempre a mente le cose che mi hai insegnato.
Antonio Basile, Ricordo di Alberto Cirese, Corriere del giorno
4 settembre 2011
(http://www.amcirese.it/rassegna_stampa/20110907124055.pdf)
Ricordo di Alberto Cirese, Pagina culturale del Corriere del giorno
3 settembre 2011
(http://www.amcirese.it/rassegna_stampa/20110907124126.pdf)
Aldo Perrone, Ricordo di Alberto Cirese, Corriere del giorno
8 settembre 2011
(http://www.amcirese.it/rassegna_stampa/Aldo Perrone_Binder1.pdf)
Marino Niola, Cirese la storia e le culture, Repubblica
2 settembre 2011
(http://www.amcirese.it/rassegna_stampa/cirese 012.pdf)
Giulio Angioni, La voce di chi ha perso, La Nuova Sardegna
3 settembre 2011
(http://www.amcirese.it/rassegna_stampa/Cirese_Angioni.pdf)
Antonio Fanelli, Un professore a scuola dai cafoni, ricordo di Alberto Mario Cirese
3 settembre 2011
(http://www.amcirese.it/rassegna_stampa/Cirese_Cafoni_Binder1.pdf)
Aldo Perrone, Un tessitore di speranze.
Omaggio ad Alberto Mario Cirese in occasione dei 90 anni
Corriere del giorno, 28 giugno 2011
(http://www.amcirese.it/rassegna_stampa/Cirese_corgiorno.pdf)
Maria Luisa Meroni, Ricordo di Alberto Mario Cirese, La Nazione (ed. Siena)
3 settembre 2011
(http://www.amcirese.it/rassegna_stampa/Cirese_La nazione_Siena.pdf)
Necrologi pubblicati su Repubblica
2 settembre 2011
(http://www.amcirese.it/rassegna_stampa/Cirese_necro_Binder1.pdf)
Ricordo di Alberto Mario Cirese su "Il Quotidiano" di Campobasso
3 settembre 2011
(http://www.amcirese.it/rassegna_stampa/Cirese_Quotid_Campobasso_Binder1.pdf)
Luigi M. Lombardi Satriani, ricordo di Alberto Mario Cirese, La Tribuna
8 settembre 2011
(http://www.amcirese.it/rassegna_stampa/Quotidiano Cirese_Binder1.pdf)
E' morto Alberto Mario Cirese. Il cordoglio di Picciano
3 Settembre 2011
E' morto a Roma all'età di 90 anni, Alberto Mario Cirese, professore emerito della facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza. Figlio di Eugenio, poeta molisano, Alberto mantenne il legame con il Molise, la sua terra d'origine. Il Presidente del Consiglio regionale, Michele Picciano, esprime il proprio cordoglio e la profonda riconoscenza per un uomo di studi illuminato che volle camminare sulla terra del Molise per raccontarlo: "Fu un intellettuale superbo, uno dei maggiori studiosi delle culture e delle tradizioni popolari, autore di saggi che hanno indagato e spiegato il meridione attraverso le sue complesse identità. Alberto Cirese è una delle intelligenze più autorevoli che la cultura italiana abbia mai espresso. Figlio di Eugenio, grandissimo poeta molisano caro a Pasolini e a Montale, produsse opere fondamentali per comprendere le tradizioni, le dinamiche sociali, l'evoluzione della società meridionale. Alberto ed Eugenio furono spesso compagni di lavoro; curarono riviste letterarie, pubblicazioni e ciascuno attraverso i propri canali espressivi, la poesia e l'antropologia, inseguirono insieme il filo vitale della storia e della a identità del Sud e del Molise. Le nostre tradizioni popolari, prima sottovalutate o ignorate, con Alberto Cirese acquisirono dignità di cultura e di patrimonio umano da preservare". Il Presidente Picciano ribadisce il privilegio di poter considerare i Cirese presenze imponenti della storia molisana: "Alberto studiò a Campobasso e da qui cominciò il suo lungo e imponente viaggio della conoscenza e nella sperimentazione culturale. E' impagabile poter dire che il nome dei Cirese è legato indissolubilmente al Molise. A questa regione hanno dato un tributo di conoscenza difficile da ripagare, se non con tutto il nostro impegno affinchè i ragazzi ne conoscano il valore culturale e condividano la bellezza delle loro opere".
(ufficio stampa) (http://www.altromolise.it/notizia.php?argomento=il-personaggio&articolo=48753)
In ricordo di Alberto Mario Cirese, tra i più grandi antropologi italiani
(http://www.liberazione.it/news-file/In-ricordo-di-Alberto-Maria-Cirese---br-tra-i-pi--grandi-antropologi-italiani.htm)
E' morto a Roma il 1° settembre Alberto Mario Cirese, tra i più grandi antropologi italiani dei nostri tempi. Anzi: demo-etno-antropologi, secondo una dizione che proprio lui aveva coniato per indicare che da noi, a differenza che in altri paesi occidentali, i campi del folklore (demologia), dell'etnologia e dell'antropologia culturale erano strettamente intrecciati, come dimostra del resto la sua lunga, ininterrotta e operosa biografia intellettuale. Aveva cominciato trentaduenne affiancando il padre Eugenio, poeta molisano, in una piccola impresa apparentemente provinciale: la pubblicazione – a Rieti, tra il 1953 e il '55 – della rivista "La Lapa. Argomenti di storia e letteratura popolare" dove compaiono articoli e interventi di Ernesto De Martino e Tullio Tentori, di Giuseppe Cocchiara, Vittorio Lanternari e Paolo Toschi, ma anche di Claude Lévi-Strauss e Marcel Maget, di Jean Rouch e Robert Redfield. Dunque una pubblicazione tutt'altro che periferica, aperta al dibattito di quegli anni dentro e fuori i confini nazionali, in uno scambio fecondo (e talora polemico) tra studiosi di diverso orientamento. Nello stesso anno della morte del padre (1955) Alberto Mario pubblicava il suo primo libro: Gli studi di tradizioni popolari del Molise, primo volume di una collana dedicata alla cultura meridionale e ai rapporti del folklore con la letteratura e con l'intera vicenda nazionale. Nel libro sono già visibili lo stile scientifico e alcune delle tematiche che Cirese non avrebbe più abbandonato: l'interesse per la storia e per la letteratura, il rigore filologico, la completezza documentaria; e poi l'argomentare cristallino, il pensiero critico, la tensione etica e la scrittura fortemente autoriale che in quegli anni si nutrivano anche di passione politica e impegno civile. Sono partita da molto lontano, convinta che il passato di coloro che hanno lasciato un segno forte nel loro campo di studi contiene sempre i germi dei loro successivi percorsi: ma naturalmente, in questa sede, non è possibile ripercorrere l'opera ricchissima di Cirese in quel modo filologico che di certo a lui sarebbe piaciuto. (chi fosse interessato può andare sul sito http://antropologica.drupalgardens.com dove è tra l'altro reperibile la bibliografia completa dei suoi lavori curata da Eugenio Testa). Mi limito perciò a delineare in modo molto schematico i tre principali filoni del suo lavoro, che separo per comodità ma che sono intrecciati, in una osmosi continua tra analisi degli oggetti di studio e dei fenomeni, interpretazioni scientifiche e prospettive teoriche. Innanzitutto c'è il piano teorico, lungo quella linea De Sanctis/Croce/Gramsci che porta, in particolare, alla definizione dei "dislivelli interni ed esterni di cultura", alle innovative posizioni museografiche, alla rilettura delle gramsciane "Osservazioni sul folklore" e dell'Ideologia tedesca di Marx. In secondo luogo ci sono le analisi morfologiche e strutturali alle quali Cirese si dedica fin dalla fine degli anni Cinquanta del Novecento e che ha applicato allo studio dei proverbi, della metrica popolare, delle fiabe, al pensiero "primitivo", al calendario Maya e soprattutto alla terminologia di parentela. Se c'è qui una linea seguita è quella che si dipana lungo un percorso che parte da Henry Lewis Morgan ed è scandito da Ferdinand de Saussure, dalla Scuola di Praga, da Propp e da Lévi-Strauss, con l'innesto della logica formale, dell'algebra di Boole e con l'uso precoce e raffinato dell'informatica: per costruire quella antropologia delle invarianze alla quale ha lavorato fino alla morte e che è ben rappresentata dal suo ultimo, recente libro, Altri sé (Sellerio 2010). Ci sono infine i suoi scritti di storia degli studi – anche questi mai abbandonati - che hanno prodotto tra l'altro opere come Intellettuali, folklore, istinto di classe (uscito nel 1976 ma che raccoglie scritti molto precedenti) dove, assai prima della nuova etnografia di matrice statunitense e dei "cultural studies britannici, affrontava il rapporto tra demologia e letteratura attraverso le figure di Verga, Deledda, Scotellaro: e tracciava i legami tra scrittura letteraria, tradizioni popolari, ruolo degli intellettuali, rapporti tra egemonia e subalternità, collocandoli nel più vasto contesto della storia d'Italia. Dall'insieme di questi suoi interessi nasce il volume Cultura egemonica e culture subalterne, manuale innovativo che va ben oltre la storia delle tradizioni popolari italiane e sul quale si è formata più di una generazione di studenti e di studiosi (era il 1971). Libro prezioso, unico nel panorama antropologico che, se pure oggi appare datato, rimane però una miniera di informazioni e notizie tuttora fondamentali, nel quale la storia delle discipline viene organizzata in base alle principali correnti di studio e le teorie sono esemplificate attraverso i rispettivi metodi di ricerca. Basta guardare alla bibliografia generale per rendersi conto della vastità delle conoscenze, dell'ampiezza degli orizzonti, della sistematicità filologica. Perché Cirese amava ripetere agli allievi che la filologia viene prima della filosofia; e anche, secondo un proverbio da lui coniato, "meglio schematico che confuso". Questo non impediva però che la sua prosa fosse ricca e complessa e nutrita di suggestioni letterarie anche nell'esposizione scientifica. Con il manuale emerge un altro aspetto - fondamentale – dell'operosità di Cirese: l'insegnamento. Non sempre – lo sappiamo – i grandi studiosi sono anche grandi maestri. Ma chi ha avuto la fortuna di ascoltare le sue lezioni sa quanto fosse appassionato e avvincente il suo modo di esporre le idee e come fosse capace di rendere chiari e comprensibili i problemi più ardui delle sue ricerche. E questo anche attraverso il paradosso e l'ironia: doti che non l'hanno mai abbandonato. Detesto quei ricordi dei morti nei quali chi scrive, invece di parlare di loro, parla di sé. Ma mi sia consentito un brevissimo cenno autobiografico, legato al mio ultimo incontro con lui avvenuto nell'ospedale da cui non sarebbe più uscito. Mi ha detto: "Pensavo di raggiungere l'età di mia madre: 96 anni. Ce la metterò tutta". Pochi giorni dopo avrebbe compiuto 90 anni. Poi aveva cominciato a parlare dei progetti di lavoro e delle cose che voleva fare appena fosse stato meglio. Sempre lucido, ironico, con la sua intelligenza vivacissima e la sua memoria portentosa. La morte ha interrotto per sempre i suoi progetti – e gli ha fatto perdere la tenera gara con sua madre, Aida Roscetti, maestra elementare. Ci resta però la sua ricchissima eredità: fatta di opere, innanzitutto. Ma anche di una lunga, affettuosa consuetudine intellettuale e di quel sodalizio intenso e profondo – filiale - che lega gli allievi ai veri maestri.
Sandra Puccini, Liberazione, 05/09/2011
Addio a Cirese (da "Unione Sarda")
Sabato 03 settembre 2011
A lberto Mario Cirese è morto giovedì a Roma, novantenne. Voce autorevole e rigorosa della cultura italiana contemporanea, nel 2006, ottantacinquenne, pubblicava a Nuoro (Il Maestrale) "All'isola dei Sardi. Per un anniversario" (1956-2006). Cirese è un grande studioso e, come egli amava definirsi, anche sardo, un grande sardo. "All'isola dei Sardi" è un libro, breve ma intenso, per festeggiare un anniversario di mezzo secolo di attenzione alla Sardegna. Cirese è venuto per la prima volta nella nostra isola nel 1956, per un convegno nazionale di storia delle tradizioni popolari. In quella prima occasione vi teneva una comunicazione che in questo libro, ben più che commemorativo, l'autore riporta in appendice, con commozione, e che si legge ancora oggi con profitto non solo di chi è interessato a gli studi demologici come contributo alla storia della cultura, come suona il titolo della comunicazione cagliaritana di allora e della riproposta di oggi. In quell'occasione conosce Max Leopold Wagner e Giovanni Lilliu, insieme ai quali oggi può dirsi che costituisca una triade di eccellenze assolute nel campo degli studi sardi, e tutti e tre con notorietà internazionale. Nel 1957 sarà poi all'università di Cagliari per il suo primo incarico di professore ufficiale di Storia delle tradizioni popolari. Ci resterà fino al 1971, per trasferirsi all'università di Siena e poi a Roma, La Sapienza, di cui è stato professore emerito. Non è senza ragione e importanza che uno dei maggiori antropologhi italiani considerasse la Sardegna come una delle sue patrie culturali, forse la più importante, un po' come è successo a Ernesto De Martino, che ha ricercato e insegnato insieme con Cirese a Cagliari in quegli stessi anni, e che aveva scelto a sua patria culturale, lui napoletano, la Lucania. L'attenzione di Cirese per la Sardegna data di qualche anno prima della sua visita del 1956, come mostra, in appendice "All'Isola dei Sardi", l'elenco dei suoi Scritti sardi (1955-2005), inaugurato da una recensione a "Miele amaro" di Salvatore Cambosu. Era seria per Cirese l'occasione che gli ha suggerito la pubblicazione di "All'isola dei Sardi", che è stata per lui luogo di studio e di affetti profondi. Durante i suoi anni sardi ha scritto le sue cose più importanti, come il fondamentale "Cultura egemonica e culture subalterne" 1973), introduzione agli studi demologici per tanti studenti di tutta Italia e che serve ancora a studiosi non solo italiani. È qui, nell' Isola dei Sardi, citazione dantesca posta a titolo di questo libro-dono alla Sardegna, che egli ha prestato acuta attenzione a temi come la panificazione tradizionale ("Arte plastica effimera in Sardegna"), la versificazione popolare ("Origine e struttura morfologica dei mutos e dei mutetus sardi", poi in "Ragioni metriche", Sellerio 1981), i testi e i prodotti del dire e del fare umani (come il notissimo e più volte riscritto "Il gioco di Ozieri"). E sempre in Sardegna, ha scritto saggi tra i più acuti su intellettuali come la Deledda e Gramsci (ora in "Intellettuali, folklore, istinto di classe"), due sardi novecenteschi di statura mondiale. Come uno dei suoi allievi sardi, oggi mi commuove ricordare che è per l'opera scientifica, organizzatrice e didattica di Cirese (insieme e ancor più di quella di Ernesto de Martino, scomparso troppo presto mentre insegnava anch'egli a Cagliari da quasi un decennio con un'accolta di studiosi che facevano della nostra università uno dei fari della cultura umanistica europea), che non è senza ragione che studiosi come Vinigi Grottanelli (su una rivista autorevole internazionale come Current Anthropology, 1977, e Giorgio Raimondo Cardona (nel Dizionario di antropologia e etnologia, PUF 1991 a cura di Pierre Bonte e Michel Izard, Einaudi 2006 a cura di Marco Aime) già decenni fa individuavano una scuola sarda, non solo cagliaritana, di antropologia, di cui Cirese è stato fondatore nella nostra terra. Ed è utile rilevare almeno una caratteristica, che è dell'opera complessiva di Cirese studioso e del suo insegnamento esplicito e implicito a una cerchia di allievi ben più vasta di quella sarda, e cioè la fruttuosa libertà tematica dei plurimi interessi dei "membri" di questa scuola, unita a una pratica molto rigorosa del metodo scientifico, anzi dei metodi scientifici. Infatti Alberto Mario Cirese, maestro internazionalmente riconosciuto dello strutturalismo, con sue celebri analisi formali (per esempio su argomenti gramsciani dei Quaderni del carcere) resta per molti il Maestro che, per primo e poi coi suoi allievi, ha praticato e si è distinto per un avveduto relativismo teorico-metodologico, che usa ad hoc orizzonti teorici, metodi di studio e tecniche di ricerca e di analisi richiesti e giustificati dalla produttività del loro impiego su determinati oggetti di studio. Noi oggi non dimentichiamo che uno degli oggetti di studio e di insegnamento più fruttuosi e apprezzati del Maestro è stata la cultura tradizionale della Sardegna.
Giulio Angioni
LA SCOMPARSA DI ALBERTO CIRESE. IL GRANDE STUDIOSO DELLA CULTURA
POPOLARE, in "Corriere del Giorno" , Taranto, 3 settembre 2011, Anno XXV, n.202.pag.26.
di Eugenio Imbriani
Aveva compiuto novant'anni lo scorso giugno e li aveva festeggiati costretto in un letto
d'ospedale tra i familiari, gli amici più cari, gli allievi. Alberto Cirese, il grande studioso della
cultura popolare, scomparso nella sera del primo settembre, è stato un maestro: intendo in senso
stretto; infatti, il suo volume "Cultura egemonica e culture subalterne" è da decenni il manuale, per
antonomasia, degli studenti (e degli studiosi) di storia delle tradizioni popolari. La cultura
egemonica è quella ufficiale, nazionale, condivisa; ma non tutti la posseggono allo stesso modo, ci
sono specializzazioni particolari, anche estreme, conoscenze, competenze appartenenti ai mestieri,
per esempio, linguaggi e saperi speciali; le culture al loro interno non riescono a essere omogenee e
così pure nelle relazioni con l'esterno pagano rapporti di forze diseguali sul piano economico,
militare, della produzione simbolica. Le società, insomma, svelano i loro dislivelli che, però, non
sono stabili né definitivi, ma dai confini mobili. Partendo da Gramsci, Cirese ci invita a osservare lo
spettacolo della cultura in movimento, in cui le posizioni si aggiornano, le relazioni cambiano, i
processi rallentano, si dinamizzano e c'è un continuo rinnovarsi delle forme: l'ammonimento
numero uno è che non basta studiare i modelli culturali dominanti, perché ci perdiamo una gran
fetta di mondo e di storia; l'ammonimento numero due è che per studiare le culture subalterne
bisogna utilizzare gli strumenti intellettuali più raffinati che abbiamo a disposizione: avere a che
fare con i proverbi non è meno impegnativo che occuparsi di filosofia hegeliana, e inseguire le
ragioni metriche dei canti popolari necessita della stessa energia che serve per volare nel paradiso
dantesco. La cultura popolare è una cosa molto complicata, per avvicinarvisi serve un armamentario
sofisticato; Cirese, tra l'altro, ha molto per tempo trafficato con il calcolo computazionale, con i
programmi informatici, è stato lui a utilizzare, oltre quarant'anni fa, il concetto di segno per
spiegare che ci fanno gli oggetti del lavoro contadino in un museo.
Alberto Cirese lascia un produzione imponente, come testimonia la sua bibliografia
recentemente pubblicata, inoltre non poco rimane inedito, ed egli stesso ha contribuito a far
circolare dei saggi nella rete, in cui è ancora attivo il suo blog, www.amcirese.it: andarci a dare
un'occhiata può aiutare anche i non specialisti a conoscere una delle intelligenze più vivaci e
curiose prodotte dal secolo scorso, un intellettuale che ha impegnato nello studio
(nell'insegnamento, negli affetti) la sua esistenza. Amava ripetere che una vita per tutto questo non
basta, anzi, ne aveva fatto il suo motto. Speriamo che in paradiso, o dov'è andato, ci sia una buona
biblioteca.
IL MESSAGGIO DEL SINDACO DI TARANTO, IPPAZIO STEFANO. IL SUO
INTENSO LEGAME CON TARANTO E IL MUSEO MAJORANO, in "Corriere del
Giorno" , Taranto, 3 settembre 2011, Anno XXV , n.202, pag.26.
di Ippazio Stefano
Ieri, 1 settembre alle ore 20,30 è scomparso Alberto Mario Cirese, docente di Antropologia
culturale, Professore Emerito della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Roma 'La
Sapienza', voce autorevole della cultura italiana contemporanea.
Lungo ed intenso è stato il suo legame con Taranto, scandito da eventi che fanno parte della
nostra storia, in particolare l'istituzione del Museo Etnografico "Alfredo Majorano".
Per espressa volontà di Alfredo Majorano era Cirese a doversi fare garante scientifico del
buon esito dell'operazione, e lui non si tirò indietro, offrendo la sua qualificata collaborazione senza
oneri di spesa per l'Amministrazione Comunale. Così tra il 2002 e il 2004 fu a Taranto ogni anno,
con soggiorni rapidi, ma fitti di incontri e di attività, di dialoghi con interlocutori istituzionali e
scientifici, sempre prodigo di indicazioni, sia nelle riunioni ufficiali sia nelle occasioni informali. Il
14 marzo 2003, finalmente, l'inaugurazione dell'esposizione etnografica nelle stanze di Palazzo
Galeota ha sancito il compimento di un impegno, di cui la città ha voluto ringraziarlo con il
conferimento della cittadinanza onoraria nel 2009. Il Consiglio Comunale di Taranto ha approvato
la deliberazione del conferimento della <<Cittadinanza onoraria>> al professore Cirese, con la
seguente motivazione: <<Per aver instaurato, grazie alla valenza della collezione Majorano, un
proficuo rapporto culturale con la città di Taranto, eleggendola egli stesso, sua patria di adozione.
I tarantini gli sono grati anche e soprattutto per il prezioso ed autorevole contributo profuso per la
realizzazione del Museo Etnografico "Alfredo Majorano" che tanto lustro dà alla città di Taranto,
proiettandola nei circuiti museali nazionali ed internazionali>>.
Pur se nei tempi lunghi cui le opere di cultura paiono condannate, scrive Cirese, <<la
proposta non è rimasta inevasa: donata generosamente alla città, la raccolta Majorano è ormai
nucleo primario del Museo etnografico Alfredo Majorano. Sono stato partecipe di questa nobile e
amara storia; e la sento come cosa profondamente mia. Gioisco oggi che la vicenda infine pare
avviata alla sua giusta conclusione. Gioisco per don Alfredo cui per disperato affetto venni a
fingere sul letto di morte l'apertura del suo museo di cui solo la targa fu invece apposta in fronte a
Palazzo D'Ayala, vuoto ancora del tesoro che la menzognera scritta annuncia; gioisco per donna
Elena, di cui nell'anima mi resta trepido il ricordo dei mille messaggi che Scalinci mi trasmise, e di
quell'ultimo che mi lasciò in una lettera da aprire dopo la sua morte; gioisco per Scalinci, tenero
devoto amico tenace; gioisco per Antonio Rizzo, lucida intelligenza tarantina sfiduciata, e insieme
forza vigorosa per una più alta vita culturale della città. Gioisco per quella Taranto di cui nel
cuore gli amici tarantini mi hanno fatto cittadino. Anche un museo può essere un atto d'amore: per
quelli che lo generarono, e ormai sono morti>>.
In occasione dei 90 anni del Maestro, gli amici, e tra questi non poteva mancare il Comune
di Taranto (Museo Etnografico), gli hanno fatto omaggio di una significativa pubblicazione Scritti
e altri lavori di Alberto Mario Cirese. (Bibliografia a cura di Eugenio Testa, con interventi di
Giulio Angioni, Pietro Clemente, Pier Giorgio Solinas. Biblioteca di <<Lares>>, Nuovaserie, Vol.
LXIII, Monografie) edita da Leo S. Olschki Editore, Firenze 2011. Questo volume è dedicato ai 90 anni di vita, e ai 66 anni di scrittura di Alberto Mario Cirese, 66 anni di scrittura pubblica, che
cominciano con un libro sui canti popolari della provincia di Rieti, e con degli articoli su giornali
culturali e politici degli anni '40 del dopoguerra e prosegue ininterrottamente sino ad oggi. Tra
questi scritti non mancano quelli dedicati ai beni demo - etno – antropologici ed ai musei. Infatti,
secondo Pietro Clemente, Cirese rientra nella categoria degli <<scrittori di musei>>, ma secondo lo
stesso Cirese, anche nella categoria dei <<facitori di musei>>, ed il museo etnografico "Alfredo
Majorano" di Taranto ne è la prova.
Come da sua volontà, i funerali si terranno domani a Castropignano, in provincia di
Campobasso, dove è sepolto anche il padre Eugenio.
Alla sig.ra Liliana, ai figli ed ai parenti tutti esprimiamo le più sincere e sentite condoglianze
a nome dell'intera cittadinanza di Taranto e dell'Amministrazione Comunale.
f.to Dott. Ippazio Stefàno, Sindaco di Taranto
IL SUO ITINERARIO SCIENTIFICO, in "Corriere del Giorno" , Taranto, 3 settembre 2011,
Anno XXV , n.202, pag.26.
di Eugenio Testa
"Se penso agli inizi del mio itinerario culturale io dico: mio padre, il Musée de l'Homme di
Parigi e i contadini socialisti della piana di Rieti". Alberto Mario Cirese è nato ad Avezzano nel
1921. Ha studiato a Campobasso, Rieti e Roma, laureandosi con Paolo Toschi in Storia delle
tradizioni popolari. In questa materia ottenne prima la libera docenza (1956), poi l'insegnamento
come incaricato all'Università di Cagliari (1957-1961) e infine il ruolo di titolare di cattedra, sempre
a Cagliari (1961-1971). Cirese ha proseguito la carriera accademica passando all'insegnamento di
Antropologia culturale nell'Università di Siena (1971-1973) e poi in quella di Roma (1973-1992);
qui è stato anche il primo coordinatore del corso di Dottorato di ricerca in Scienze
etnoantropologiche (1988-1993), del cui collegio dei docenti ha continuato a far parte fino al
momento del suo collocamento a riposo (1996). E' Professore Emerito della Facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università di Roma 'La Sapienza'.
Egli stesso ha finito per riconoscersi non meno di cinque patrie, luoghi di affetti e di lavoro
che concorrono a formare la propria identità: quella di nascita della Marsica abruzzese, quella del
Molise paterno, quella della Sabina laziale, quella sarda e infine quella messicana degli intensi
soggiorni di studio e insegnamento a Colima, Toluca e Città del Messico.
Negli anni che precedono l'ingresso nella carriera universitaria si collocano l'incontro con
Raffaele Pettazzoni alla Scuola di perfezionamento in Scienze etnologiche dell'Università di Roma,
un soggiorno di studio presso il Musée de l'Homme di Parigi, l'attività di raccolta sul campo di testi
e musiche di tradizione orale. Queste rilevazioni, alcune delle quali in collaborazione con Diego
Carpitella, furono svolte in Molise e in Sabina, in parte per il Centro Nazionale Studi di Musica
Popolare, in parte per la rivista "La Lapa", che Cirese curava insieme al padre Eugenio, autore di
volumi di raccolte di canti popolari sabini e molisani e di versi in dialetto molisano. L'esame dell'articolata produzione saggistica di Alberto Cirese può far individuare alcuni dei temi di ricerca a cui si è dedicato. Certamente abbiamo un Cirese storico degli studi. Riprendendo e rinnovando una tradizione aperta nel dopoguerra da Giuseppe Cocchiara, Cirese ha dedicato agli studi demologici italiani quadri d'insieme, ricostruzioni di storie locali (Molise, Sardegna) o relative a temi specifici (gli studi di poesia popolare), nonché numerosi contributi su singole figure di studiosi, raccoglitori e autori. Non è un caso se nei suoi scritti si trovano elementi per una storia degli intellettuali italiani degli ultimi due secoli: quello della circolazione dei fatti culturali, dei rapporti tra colti e non colti, tra cultura egemone e culture subalterne è un altro dei suoi interessi, perseguito in particolare dal punto di vista della circolazione dei testi. Il confronto teorico più stretto è stato in questo caso con le posizioni di Giuseppe Vidossi, Vittorio Santoli e Antonio Gramsci.
Le questioni di 'letteratura popolare' (dei testi di tradizione orale, scritta o mista, prodotti da o per un
pubblico popolare e comunque da esso conosciuti e utilizzati) non sono però state studiate da Cirese
solo in termini storici, filologici o di teoria dei dislivelli di cultura. Sono state anche uno dei terreni
d'elezione per lo studio di forme e strutture e l'elaborazione di modelli. Per questo genere di lavoro
il Propp della Morfologia della fiaba e il Lévi-Strauss delle Strutture elementari della parentela
sono stati tra gli interlocutori discussi e rielaborati in dialogo con la semiotica e la logica.
Esperimenti di formalizzazione e modellizzazione sono stati fatti prendendo a oggetto relazioni di
parentela e proverbi, costruzioni ideologiche e forme metriche tradizionali, ma sempre
deliberatamente lavorando su oggetti di studio e corpora documentari circoscritti e chiaramente
delimitati.
Soggiacente all'interesse per queste metodologie è l'idea che sia la comparazione tra fatti
culturali sia la modellizzazione compiuta su di essi facendo uso di metalinguaggi astratti possano
restituire l'immagine di un mondo di genti unite nel profondo dalla comune appartenenza a una sola
specie - unità e appartenenza non solo biologicamente fondate. E' il tema dell'unità della mente e
dell'esperienza umane, già presente in Tylor, in Frazer e in Lévi-Strauus, a cui Cirese non vuol
rinunciare, rivendicando per l'antropologia la possibilità dello studio delle invarianze accanto a
quello delle differenze, della considerazione dell'Altro non come Altro da Sé ma come un Altro Sé.
Alla predilezione per il calcolo logico delle configurazioni dei mondi possibili, Cirese ha
accompagnato l'uso sistematico del computer. Si collocano tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio
dei Settanta l'esperimento di elaborazione elettronica di un gruppo di testi della Raccolta Barbi,
l'apertura della collaborazione col Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico di Pisa per
un progetto di soggettario demologico informatizzato e il trattamento al calcolatore dei testi di
poesia popolare pubblicati da Niccolò Tommaseo. Agli inizi degli anni Ottanta datano invece le
prime versioni dei programmi per il calcolo delle relazioni di parentela elaborati da Cirese stesso.
Resta da menzionare almeno un'altra delle aree del lavoro di Cirese, in cui pure l'uso del calcolatore
trova oggi ampio impiego: il censimento, la catalogazione, la classificazione e la conservazione dei
beni culturali demologici. Cirese se ne è occupato sia in termini teorici, scrivendo per esempio di
museografia contadina e di arte popolare, sia in termini pratici: ricordiamo solo il lavoro del
Repertorio e Atlante Demologico Sardo, avviato ai tempi dell'insegnamento a Cagliari, e quello
condotto tra il 1968 e il 1975 con la Discoteca di Stato, che ha portato un folto gruppo di ricercatori
alla rilevazione sistematica e alla catalogazione di un ampio corpus di tradizioni orali non cantate.
ALBERTO MARIO CIRESE, in Il "Manifesto", 3 settembre 2011, pag.11
di Antonio Fanelli
Alberto Mario Cirese amava dire che l'unico modo per onorare uno studioso è studiarne
l'opera. Ed è per questo che sarebbe stato sicuramente lieto, più di qualsiasi ulteriore carica o titolo,
di un'attenzione per i propri scritti proiettata verso le nuove generazioni. Il decano dell'antropologia
culturale italiana si è spento ieri a 90 anni e lascia una mole imponente di lavoro testimoniata dalla
ricca bibliografia edita da Olschki nel 2011 e curata da Eugenio Testa. Una complessa e variegata
produzione che, oltre a migliaia di articoli e decine di monografie (tradotte in inglese, francese,
spagnolo, tedesco, croato) include anche il suo fondamentale lavoro di traduzione e presentazione al
pubblico italiano di alcuni scritti di Claude Lévi-Strauss. L'anziano studioso, dopo una lunga
carriera accademica come docente di Antropologia culturale (professore emerito alla "Sapienza" di
Roma) era diventato anche un blogger. Il sito www.amcirese.it era il suo archivio in rete, con libera
fruizione di molti dei suoi articoli e saggi scientifici e anche alcuni inediti. Una grande lezione di
metodo e di etica del lavoro culturale, una formidabile capacità di adattare alle tecnologie moderne
il suo profondo amore per lo studio. Una passione coltivata sin da ragazzo in famiglia, grazie al
padre, il poeta molisano Eugenio Cirese. Il computer (che lui chiamava "calcolatore") aveva
iniziato a usarlo quando tale strumento era grande come una stanza e riusciva a fare una operazione
alla volta. Siamo nei primi anni '60 e Cirese cercava dei modelli formali e logico-informatici da
applicare alle tradizioni popolari (novelle, fiabe, canti, etc.), un tema che sarà anche al centro del
suo ultimo prezioso libro: "Altri sé" (Sellerio, 2010).
Era nato ad Avezzano nel 1921 e si era laureato nel 1944 a Roma in Storia delle tradizioni
popolari. È stato per lunghi anni docente all'Università di Cagliari e poi a Siena e infine a Roma. Il
suo manuale di antropologia di impronta gramsciana "Cultura egemonica e culture subalterne"
(Palumbo, 1973) ha rappresentato per alcuni decenni il testo guida per tutti i ricercatori e gli
studenti dell'università italiana, superando le concezioni romantiche e positiviste del folklore in
nome della connessione aperta da Gramsci tra i fatti culturali e le condizioni socio-economiche. Da
giovane era stato anche un uomo politico della sinistra del PSI e del PSIUP, e aveva spesso
collaborato con quotidiani e riviste militanti come "l'Avanti!", "Mondo Operaio" e "Paese Sera".
Nel 1966 aveva fondato assieme a Gianni Bosio l'Istituto Ernesto de Martino collaborando a
spettacoli celebri del canto popolare come "Bella Ciao" e "Ci ragiono e canto" con Dario Fo. Da
alcuni anni era diventato molto critico verso i partiti di sinistra e si considerava un "cane sciolto"
ma non smetteva di riflettere in modo critico e con scrupolo filologico su alcuni nodi cruciali della
cultura italiana del Dopoguerra, sulle polemiche del PCI verso Rocco Scotellaro, Carlo Levi e Pier
Paolo Pasolini .
Diceva di avere "cinque patrie culturali", terre di vita e oggetti di studio che egli aveva
scelto: l'Abruzzo, terra di sua madre; il Molise paterno, al centro di importanti lavori sulla storia
locale e sulla musica tradizionale; la Sabina laziale, della giovinezza e dell'impegno politico; la
Sardegna in cui raggiunse la piena maturità di studioso e di maestro (tra i suoi allievi figure come
Giulio Angioni, Pietro Clemente e Piergiorgio Solinas) e infine il Messico, con gli studi sulla
parentela e sul Calendario Maya. Da molti anni risiedeva a Roma in Piazza Capri. Nelle stanze
colmi di libri, di vecchi "cervelli elettronici" e pionieristici registratori audio ha accolto con
generosità e rigore tanti giovani ricercatori, fornendo generosamente i suoi materiali per tesi e articoli. Era seguito dal figlio Eugenio, giornalista di "Repubblica" e dalla moglie Liliana Serafini,
compagna preziosa e sodale in alcuni lavori (come la raccolta di fiabe di tutta l'Italia per la
Discoteca di Stato negli anni 1968-72) .
"Una vita sola non basta allo studio"- amava dire - e in una intervista per "Etnologie
Francaise" su quali fossero le tappe fondamentali della sua carriera e della sua vita aveva risposto
"Mio padre, il Musée de l'Homme di Parigi e i mezzadri socialisti della Piana di Rieti" ossia:
l'amore per la poesia e la letteratura popolare, l'incontro con Claude Lévi-Strauss e lo
Strutturalismo, le lotte per la terra dei contadini nel Dopoguerra. Contadini poveri, questi ultimi, in
grado di avere una forte dignità e un protagonismo sociale che Cirese condensava in questo ricordo:
"Mò statte zitte professò, parla lu cafone".

Foto di Marco Magni
Cari tutti
non potrò essere con voi a Castropignano fisicamente ma con il pensiero sto accompagnando il
maestro che per primo ho ascoltato in cattedra, nel 1982/83, a Roma villa Mirafiori, per il
bellissimo corso "segnicità, fabrilità, procreazione", e che ringrazio di cuore per l'impegno profondo
di trasmissione e l'incondizionato amore della conoscenza che ci lascia in eredità. Sento più forte
che mai la sua presenza
Valentina Zingari

Foto di Marco Magni
LA TESTIMONIANZA DI UNO STUDIOSO, in "Corriere del Giorno", Taranto, 4 settembre 2011, anno XXVIII, n.243, p.25.
di Ferdinando Mirizzi
Ieri sera, all'età di 90 anni, si è spento Alberto Mario Cirese. E' stato un intellettuale raffinato e
rigoroso, autentico protagonista della vita culturale italiana negli ultimi sessant'anni e grande maestro degli studi demoantropologici del nostro Paese. Con la sua scomparsa si chiude un'epoca e lascia in tutti noi antropologi un vuoto profondo.

Foto Marco Magni
Non ci sono parole. E siamo davero più soli.
Sandro Portelli
No! ci sentiremo ancora più soli!
Sandra Ferracuti
Cari amici, questa sera si è spento Alberto Mario Cirese, professore per alcuni di noi, per altri amico
e, di certo, parte importante della storia intellettuale di molti.
Come da sua volontà, i funerali si terranno a Castropignano, dove è sepolto anche il padre Eugenio,
presumibilmente sabato mattina
Alberto Sobrero
Tra i fondatori dell'AISEA, e ne ricordano commossi la grande figura di studioso, lucido e rigoroso,
il contributo dato all'antropologia e le doti che lo hanno reso indiscusso Maestro.
Luigi Lombardi Satriani
Presidente dell'Associazione Italiana per le Scienze Etnoantropologiche
Con i suoi studi e le sue ricerche è stato un punto di riferimento importante per la cultura e
l'Università italiana, per me è stato anche maestro e interlocutore indimenticabile, testimonio il mio
debito di conoscenza e il mio affetto e mi unisco ai familiari nel dolore dell'ultimo saluto.
Pietro Clemente

Foto di Marco Magni
IL SUO LEGAME CON TARANTO, in "Corriere del Giorno", Taranto, 4 settembre 2011,
anno XXVIII, n.243, p.25.
di Antonio Basile
Dopo una lunga degenza, giovedì 1 settembre alle 20,30 è scomparso Alberto Mario
Cirese, tra gli studiosi che hanno contribuito con ricerche e studi allo sviluppo degli studi
antropologici nel nostro Paese.
Particolarmente sentito è stato il suo legame con Taranto, una delle sue "patrie", scandito da
eventi che fanno parte della sua storia, in particolare l'istituzione del Museo Etnografico "Alfredo
Majorano", inaugurato il 14 marzo 2003 nelle stanze di Palazzo Galeota, che ha sancito il
compimento di un impegno, di cui la città ha voluto ringraziarlo con il conferimento della
cittadinanza onoraria nel 2009.
Lungo e difficoltoso è stato il percorso che ha portato il Comune di Taranto all'importante
realizzazione del museo etnografico, ma forse, per questo, ancora più sentito e condiviso.
L'idea di raccogliere oggetti relativi a usi e costumi tradizionali caduti e non in disuso per
fondare un museo folkloristico, scrive Alfredo Majorano, <<mi nacque dopo la pubblicazione dei
Canti popolari tarantini (1932), ma soltanto favorevoli vicende della vita mi misero in condizioni di
attuare tale idea sin dall'inizio del 1945. Indi, per divulgare ciò che bolliva nella mia... pentola
scrissi una nota dal titolo Per un museo folkloristico che il <<Corriere del Giorno>> pubblicò il 3
agosto del 1947>>.
Nell'articolo apparso sul <<Corriere>>, Majorano scrive: <<Con la istituzione in Taranto di
una Sezione del Centro Nazionale di Studi Dialettali, sorta nel dicembre 1946, col nome augurale
del massimo poeta dialettale tarentino "Emilio Consiglio", si assiste, indubbiamente, ad un risveglio
della letteratura vernacola cataldiana (...) La "Consiglio" sarà ora promotrice di altre e più concrete
iniziative nel campo degli studi folkloristici. E' già in corso la raccolta di un importante materiale
per la creazione del Museo folkloristico tarantino. Mancano ancora i locali e per la Sezione e per il
Museo stesso (...) La raccolta già si prevede ricca di materiale vario, interessante e suggestivo
(pesca, artigianato, religione, casa, famiglia, fatture, giuochi ecc…). Naturalmente il Museo avrà
delle sale in cui saranno esposte distinte e ben ordinate branche di folklore tarantino. Molto
interessante sarà la sala del "folklore religioso" in cui saranno esposti, a grandezza naturale, i nostri
classici caratteristici "perdoni", confratelli incappucciati delle due antiche e sempre fiorenti
confraternite religiose del Carmine e dell'Addolorata, nonché "u trucculande", portatore del famoso
crepitacolo, "'a trocchele" della Settimana Santa (...) Vi saranno esposti anche numerosi "ex voto"
con alcune note esplicative. Non vi mancheranno i "pupi", suppellettili di fattucchiere, danza
popolare e ballo della tarantola. Infine, anche i giuochi fanciulleschi e quelli degli adulti avranno la
loro sala, dalla classica "livoria" a "'u spizzidde". Altri giuochi saranno illustrati da fotografie tratte
dal vero>>.
Nel 1947, Alfredo Majorano incontrò il dottor Ciro Drago, Soprintendente del Museo
Nazionale, che fu anche sindaco di Taranto dal 9 maggio 1944 al 13 dicembre 1946, al quale accennò il suo vivo proposito di far sorgere un museo folkloristico. <<Salimmo nel suo ufficio -
scrive Majorano - e m'invitò a scrivergli una lettera in cui dovevo elencare il materiale raccolto e
quello da raccogliere. Il che io feci il 28 novembre del 1947. Con tale mia lettera il soprintendente
aprì una pratica con il Ministero. Indi, con foglio n.1944 del 20 gennaio 1948 - Oggetto: Museo
folkloristico jonico, mi scrisse: "In risposta alla Sua del 28 novembre u/s La prego appena avrà
tempo disponibile di presentarsi a questo Museo per comunicazioni relative allo oggetto. Il
Soprintendente dott. Ciro Drago">>. <<Vi andai subito - prosegue Majorano - e m'informò che il
Ministero aveva approvato la sua proposta, di depositare gli oggetti raccolti e da raccogliere in un
locale dello stesso Museo Nazionale, nel quale sarebbe poi sorta una "sezione del folklore
jonico">>. A quel punto, Alfredo Majorano non sapeva cosa fare: <<Fui assalito, - dice - da
diversi interrogativi …alla fine feci cadere tale proposta col mio silenzio e senza farmi più vivo. Il
dottor Ciro Drago fu poi trasferito a Roma, dove morì>>. A distanza di anni, nella primavera del
1969 Antonio Rizzo e Temistocle Scalinci, animatori del <<Circolo di Cultura>>, dopo aver
constatato quantità e qualità notevoli degli oggetti raccolti da Alfredo Majorano, decisero, che si
poteva, ormai, passare alla realizzazione di una grande mostra etnografica <<dedicata al popolo di
Taranto>>. Per tale mostra fu interessato, su indicazione di Giulio Carlo Argan il professore
Alberto Mario Cirese, allora titolare della cattedra di Antropologia culturale all'Università di
Cagliari. La mostra giudicata da autorevoli studiosi <<una tra le più importanti manifestazioni in
Italia nel settore etnografico>> fu ospitata nelle sale del Palazzo di Città ed ebbe un gran successo.
Rimase aperta per un mese e mezzo, dal primo giugno alla metà di luglio del 1971. Di essa si
occuparono vari giornali e riviste, tra cui <<L'Osservatore Romano>> del 31 luglio 1971, <<Il
Veltro>>, rivista della Civiltà Italiana del giugno - agosto 1971, e <<La Fiera Letteraria>> del 1
agosto 1971. L'antropologa Annabella Rossi scrisse un interessante articolo su <<Paese Sera>>. Ne
parlarono i quotidiani <<Il Piccolo>> di Trieste, <<La Gazzetta del Mezzogiorno>> di Bari, il
<<Corriere del Giorno>> di Taranto. Nel 1977, l'editore Giulio Einaudi pubblicò, nella collana
PBE, Oggetti, segni, musei - sulle tradizioni contadine del Cirese, in cui apparve anche la
<<Presentazione>> del catalogo critico della mostra tarantina e Appunti di lavoro per una mostra
dello stesso Cirese. Taranto, scrive Aldo Perrone in un articolo apparso sul <<Corriere>> del 16
ottobre 2007, <<entrava in tutte le case degli italiani e il Museo Majorano non ancora nato aveva
in "anteprima" una diffusione inversamente proporzionale ai soldi e all'impegno spesi dalle
pubbliche amministrazioni. Nella terza del "Corriere" Antonio Rizzo rivendicò i meriti con un
articolo "La cultura che non costa niente" (Domenica 7 agosto 1977). I soldi pubblici andavano a
cose che davano risultati infimi, se non addirittura capaci di coprire di ridicolo la voce "cultura",
Majorano aveva invece raggiunto l'Italia senza spese per l'erario>>. Dopo anni di completo
silenzio e tante tribolazioni, finalmente la sera del 14 marzo 2003 il <<Museo Etnografico Alfredo
Majorano>> fu aperto al pubblico!
Di Taranto e del museo etnografico parla anche il libro Beni volatili, stili, musei (Prato, ed.
Gli Ori, 2007), curato da Pietro Clemente e Gianfranco Melteni, che raccoglie scritti di Alberto
Mario Cirese, il quale non manca di ricordare con immutata stima e affetto Alfredo Majorano, sua
moglie Elena e Antonio Rizzo, personaggio quest'ultimo molto stimato da Cirese. In occasione dei
90 anni del Maestro, gli amici, e tra questi non poteva mancare il Comune di Taranto (Museo
Etnografico), gli hanno fatto omaggio di una significativa pubblicazione Scritti e altri lavori di
Alberto Mario Cirese. (Bibliografia a cura di Eugenio Testa, con interventi di Giulio Angioni,
Pietro Clemente, Pier Giorgio Solinas. Biblioteca di <<Lares>>, Nuovaserie, Vol. LXIII,
Monografie) edita da Leo S. Olschki Editore, Firenze 2011.
Ciao professore!
|